Sempre più persone decidono di tatuarsi il proprio animale domestico sulla pelle, ma quali sono i significati emotivi e psicologici di questo gesto?
Uno dei principali segni di riconoscimento che identificano una persona appassionata di animali domestici è il tatuaggio. Alzate lo sguardo dal dispositivo e chiedete a chi è vicino a voi se ha un tatuaggio. Avete un’altissima probabilità che risponda affermativamente. Se poi gli chiedete anche se ha un tatuaggio che raffigura un animale domestico chiaramente la percentuale di risposte positive diminuirà, ma non poi così tanto.
Un articolo uscito nel 2020 analizza come le persone raccontano il proprio rapporto con gli animali da compagnia attraverso i tatuaggi. In particolare, è stato indagato il senso di parentela nei confronti degli animali e come questa viene disegnata sulla pelle degli esseri umani.
L’autrice è Kristine Hill e l’articolo è uscito sulla rivista Anthrozoös. Innanzitutto ci dice che l’utilizzo di tatuaggi come azione commemorativa è una pratica sempre più popolare. Una dichiarazione di amore o di devozione nei confronti della famiglia e di tutto ciò che è da considerarsi parentela. Gli animali domestici sono entrati all’interno di questa categoria ormai da tempo. Per la letteratura scientifica ciò è avvenuto nei primi anni 2000: gli animali fanno parte del gruppo sociale che noi chiamiamo famiglia, il problema è che appartenere a specie diverse rende più difficile e macchinosa questo passaggio di definizione.
C’è voluto l’intervento di discipline come l’antropologia e la sociologia per definire la parentela multispecie come elemento di sostegno sociale per l’individuo.
La cosa si fa interessante se consideriamo che anche i tatuaggi rappresentano qualcosa che parte della società vede ancora di traverso, come una pratica finalizzata a deturpare il proprio corpo spesso attraverso segni e disegni poco comprensibili. Non è questa la sede per discutere sull’importanza che ricoprono oggi i tatuaggi nella definizione a volte anche dell’identità dell’individuo, ma è sicuramente un aspetto da tenere in considerazione quando si parla di tatuaggi commemorativi.
Si tratta quindi di due usanze, considerare gli animali domestici come parenti e tatuarsi, che hanno trovato, forse stanno ancora trovando, detrattori e critici. Figuriamoci dunque la loro combo.
Hill definisce tatuaggi commemorativi quelli dedicati a persone, relazioni, luoghi importanti, ricordi che in qualche modo fanno parte del passato della persona. Tra i tatuaggi commemorativi, possiamo trovare i commitment tattoos, che rappresentano legami permanenti verso un’altra persona. I love mum ne è un esempio, ma anche la data di nascita del proprio figlio. Oppure i memorial tattoos, che invece sono quelli dedicati a persone o animali che non ci sono più.
Attraverso i social media Hill ha reclutato alcuni volontari a cui ha chiesto di partecipare ad un’intervista che indagasse in che modo i loro tatuaggi commemorativi raccontassero il loro legame con gli animali domestici. Tra i partecipanti vi erano persone che avevano scelto di commemorare con un tatuaggio animali che erano morti, ma anche persone che si erano tatuati i propri animali da compagnia ancora in vita. Non solo: tra i nove partecipanti c’era anche una ragazza, Mary (credo sia un nome di fantasia) che aveva scelto di tatuarsi un topolino avendo avuti diversi esemplari di ratto come animale domestico.
L’intervista su cui si basa lo studio di Hill indaga il tipo di narrazione che il tatuaggio evoca del legame tra la persona e l’animale domestico, non soltanto da un punto di vista semantico, ma anche corporeo e stilistico. Tra le domande poste ai partecipanti infatti vi è anche quella relativa alla parte del corpo scelta per il tatuaggio e il motivo per cui è stata scelta. Chiedeva anche in che modo la persona è arrivata a scegliere una determinata forma e un preciso disegno per immortalare sulla propria pelle il proprio animale domestico. I partecipanti venivano anche invitati a raccontare che tipo di emozioni suscitasse in loro la vista del tatuaggio tempo dopo esserselo fatto e che tipo di dinamiche relazionali ci fossero tra i partecipanti e l’animale domestico tatuato nel contesto del proprio sistema familiare.
Ho evidenziato alcune parti che mi sono sembrate rilevanti nelle risposte dei partecipanti: Debbie ad esempio, proprietaria di un cane (Foxie) di cui si è tatuata una caricatura stilizzata, dice nell’intervista che non ha mai fatto troppo caso al tipo di relazione tra lei e il suo cane. Soprattutto, non si è mai troppo soffermata a pensare se Foxie sia o meno un membro della propria parentela. Dice però che il suo rapporto con l’animale domestico potrebbe essere associato a quello che c’è tra una madre e un figlio ma in una forma mediata. Usa la terminologia inglese fur-baby, che significa una cosa tipo bambino con la pelliccia, quindi bambino peloso.
Ben diverso è l’approccio di Mary, la proprietaria dei ratti che si è disegnata un topolino cartoon sulla spalla. Lei dice di considerarsi a tutti gli effetti mamma di quattro bambini e il tatuaggio è dedicato ad ognuno di loro. Prima che qualcuno salti sulla sedia con il ditino alzato in segno di ammonimento moralista, vale la pena aggiungere che secondo uno studio del 2012 firmato da Dafna Shir-Vertsh su American Antrhopologist gli appellativi mamma e bambino non significa necessariamente che rispecchino una relazione multi-specie madre-figlio. Somiglia quindi più ad una convenzione che ad un’effettiva divisione di ruoli. Ne abbiamo già parlato all’interno di questa newsletter della tendenza degli esseri umani a chiamare i propri animali domestici appellandoli con forme riconducibili a parentele strette, o anche a considerarsi direttamente genitori, mamma e papà del proprio animale domestico. Certo, su quattro topolini da laboratorio forse fa più effetto e presto ci sarà l’occasione di parlare anche dell’imbarazzo o della indignazione che ci evocano alcune forme di legame tra persona e animale domestico anomalo.
Un’altra intervista interessante sul versante della scelta del tattoo è quella di Charlotte, proprietaria del cane Mack, di cui si è tatuata la sagoma posteriore. La coda spicca nella sua tenerezza di essere spesso fuori posto, come se non ne avesse uno. Dice che ha scelto la sagoma come formato di tattoo perché questa può essere facilmente rimarcata in caso di sbiadimento. Cosa meno facile da fare con il ritratto dettagliato del muso del proprio cane. Ed è proprio questo il punto: non vuole che il suo legame con Mack svanisca e la scelta della sagoma è stata in questo senso rassicurante. Aggiunge che il tatuatore l’ha aiutata a catturare bene la personalità del suo cane (che strano accostamento di parole personalità del cane) identificando una posa che lo ritraesse in maniera fedele. Charlotte descrive Mack come il suo bambino e migliore amico; lo definisce la sua persona preferita e dopo aver provato a cercare un nuovo partner in seguito al divorzio, si è resa conto che sceglierebbe Mack sopra chiunque altro. Il suo attuale compagno (chissà se è geloso del vecchio Mack) ha due figli, ma io ho già il mio, è Mack, non voglio figli umani.
Victoria si è tatuata la sua gatta Cole, in particolare la sagoma dei suoi occhi, ma afferma che questo tatuaggio commemora anche gli altri gatti che ha adottato dopo la sua morte. A differenza di quanto abbiamo visto finora lei afferma che Cole in realtà non è proprio da definirsi come una parente, ma il legame che si è venuto a creare tra loro due rappresenta sicuramente qualcosa in più rispetto alla relazione tra amici: c’è qualcosa che ha a che fare con il prendersi cura che non rintraccia all’interno di una relazione con un amico umano. Si è identificata spesso come la caregiver dei suoi gatti e aggiunge che è difficile comprendere la potenza che evoca il rapporto tra caregiver e animale domestico. E poi fa emergere un aspetto che ancora non avevo mai incontrato negli articoli e negli studi letti finora: il senso di colpa nei confronti dell’animale rispetto alle decisioni prese per la salute di questo. Victoria non fa direttamente riferimento ad un episodio, ma parla di importanti decisioni veterinarie che a volte l’hanno fatta sentire in colpa rispetto alla sua gatta. Un aspetto che emerge anche in una ricerca di Fox (2006) in cui si dice che il potere e il controllo che gli umani esercitano sui propri animali domestici spero scaturiscono sentimento di colpa, preoccupazione e incertezza rispetto a quello che gli animali potrebbero sentire o pensare (altro interessante e anomalo accostamento di parole, animale e pensare).
In generale, dalle interviste emerge come il ruolo dell’animale da compagnia cambi nella rappresentazione della persona a seconda innanzitutto del momento dell’adozione: per coloro che lo avevano adottato durante l’infanzia rappresentava soprattutto un sostegno emotivo. Quando invece si parla di adozioni da parte di persone adulte ecco che la rappresentazione muta su termini che hanno a che fare con la genitorialità. I tatuaggi ci raccontano che esistono molte sfumature che raccontano il legame tra umani e non umani e che queste vanno al di là del codice che utilizziamo per descrivere parentele e membri della famiglia. Tatuarsi il proprio animale domestico può rappresentare anche una strategia di coping, un modo quindi per fronteggiare le difficoltà emotive evocate dalla scomparsa di questo e l’autrice cita anche un articolo di Davidson (2017) in cui si dice che questa dinamica vale sia per i lutti in seguito alla morte di animali domestici che di persone.
E’ davvero interessante notare come gli animali domestici rappresentano una porta per nuove frontiere nella definizione delle relazioni. Aggiungono sfumature, depotenziano le etichette che siamo abituati ad utilizzare nella nostra narrazione familiare e sociale. Per quanto riguarda i tatuaggi mi vengono in mente due osservazioni: la prima è che tatuarsi l’animale domestico non ha a che fare soltanto nella definizione di una relazione e di un legame, ma anche con la definizione della propria identità, come ci dicono un sacco di studi che analizzano le motivazioni che portano le persone a tatuarsi qualcosa sulla propria pelle, e questo rafforza ancora di più l’idea che quello che c’è tra un essere umano e un animale renda difficile prepotentemente ogni tentativo di definizione. La seconda è che se provate a chiedere ad un terapeuta familiare quale tatuaggio trova più strano, se quello che ritrae la propria madre o il proprio padre, o quello che ritrae l’animale domestico, sono abbastanza sicuro che sceglierebbe la prima opzione. Ma io sono di parte.
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Fonte di questo numero: Kristine Hill (2020) Tattoo Narratives: Insights Into Multispecies Kinship and Griefwork, Anthrozoös, 33:6, 709-726, DOI: 10.1080/08927936.2020.1824652
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